Un amore


Dopo avervi parlato della solitudine de Il deserto dei tartari e dell’estro de La boutique del mistero, la prossima opera con cui voglio farvi conoscere Dino Buzzati -anche in vista del temibile e temutissimo San Valentino- è Un amore.


Titolo: Un amore
Autore: Dino Buzzati
Genere: romanzo
Editore: Mondadori, Oscar Moderni
Pagine: 294
Prima edizione: Italia, 1963
Prezzo: 14,00€
Trasposizione cinematograficaUn amore,  Gianni Vernuccio (1965)


Apparentemente ad Antonio Dorigo, architetto milanese di mezza età, non manca nulla: è uno stimato professionista, se non ricco sicuramente agiato e rispettato dai suoi pari. Eppure, di tanto in tanto, egli telefona alla casa di appuntamenti della signora Ermelina, cercando quel contatto col mondo delle donne altrimenti per lui (o secondo lui) irraggiungibile. Incontri, questi, senza nessuna importanza, almeno finché Antonio non si ritrova a letto con Laide, giovane ballerina della Scala di cui si innamora perdutamente. Peccato, però, che la ragazza abbia ben altro per la testa: spregiudicata, opportunista, bugiarda e forte dell’ascendente che ha su Antonio, Laide tesserà una rete di menzogne e umiliazioni, una storia tossica e morbosa in cui il nostro protagonista, suo malgrado, rimarrà imprigionato.


Dopo aver riscritto e inevitabilmente cancellato questa frase una decina di volte, mi sono accorta che parlare di questo libro non è proprio un’impresa facile, perché, prima di qualsiasi sensazione positiva o negativa, mi ha lasciato moltissimi dubbi - sì, sono al punto da non aver capito se questo libro mi sia piaciuto o meno. Ma cerchiamo di fare un po’ d’ordine. 


Una cosa che di questo romanzo mi ha colpito è stata sicuramente la caratterizzazione dei personaggi principali, Antonio e Laide - d’altronde non poteva essere altrimenti dato che questa è la storia del loro rapporto. Nonostante il titolo sia Un amore, questo sentimento è l’unico grande assente di tutto il libro: ci sono l’ossessione di Antonio, la gioia che prova nello stare con la ragazza, il menefreghismo di Laide, il disgusto mal celato con cui lei lo tratta, l’umiliazione inferta e subita più e più volte, la rabbia e la ribellione che a momenti pervadono il nostro protagonista, e soprattutto la paura di perdere quella che è allo stesso tempo “ragazzetta spavalda e orgogliosa” e "creatura inseguita che cercava scampo” e che lo costringe all’immobilità e alla disperazione più totali. Una relazione tossica a tutti gli effetti, in cui viene mostrata benissimo la condizione di chi, per quanto vorrebbe e continui a provarci, non riesce a separarsi da qualcuno nonostante tutto il dolore che gli viene quotidianamente inflitto.


La storia di Antonio viene quindi descritta in toni drammatici, certo, ma allo stesso tempo folli e grotteschi: davanti alla sua volontà autolesionista di restare con Laide, a questo bisogno di vederla o sentirla anche solo per un misero attimo accanto a lui a costo di indicibili sofferenze, la prima reazione è quella di compatirlo, di cercare di aiutarlo, forse, ma poi, inevitabilmente spazientiti, di adirarsi con lui o di deridere questo cinquantenne grande e grosso tiranneggiato da una ragazzina prepotente. Eppure, alla fine il sentimento che prevale è la sola e semplice pietà.

E cosa dire di Laide? Una figura al limite, che non riusciamo bene a inquadrare perché è lei la prima a non voler rivelare niente di sé o del suo passato: di lei sappiamo solo che è una ballerina, che per arrotondare si prostituisce e che non è assolutamente innamorata di Antonio, considerato un pollo da spennare, un peso fastidioso da portarsi appresso per saldare i propri conti. Non sappiamo da dove venga, quale sia la sua famiglia né quali traumi abbia subito per comportarsi in questo modo, perché la sua vera essenza è sepolta sotto strati di bugie, voci di corridoio e opinioni - discordanti - altrui. Certo, possiamo giudicarla, disprezzarla, odiarla, ma non possiamo ignorare che dietro la sua apparenza da tentatrice e dominatrice si nascondono una profondissima fragilità e una sofferenza scatenata anche da una città, Milano, che spesso e volentieri si cura più dei suoi affari che dei suoi figli.


Prima di iniziare con le note dolenti parto però con una piccola premessa: come ho già detto, la relazione tossica al centro del libro è sicuramente trattata e descritta in modo egregio, anche grazie alla tecnica del flusso di coscienza - di cui Un amore è quasi esclusivamente composto - che ci mostra perfettamente lo stato di angoscia perenne in cui Antonio, preda di paure e gelosie nemmeno tanto infondate, si ritrova da un giorno all’altro a vivere. Di sicuro, l’atmosfera claustrofobica e opprimente è certamente voluta e perfetta per questo libro, ma dopo essermi trovata davanti all’ennesimo capitolo composto solo dai film mentali di Antonio - il che significa assenza di punteggiatura o di un qualsiasi filo logico nel discorso - ho cominciato a disperare, e non poco! A questo si aggiunge il fatto che la narrazione a un certo punto si fa sempre più ripetitiva a causa dell’assenza di veri e propri colpi di scena, come d’altronde ci si aspetterebbe in un libro romantico (o, in questo caso, “antiromantico”): e indovinate chi per questo motivo non legge mai romanzi rosa e sperava che questo libro fosse diverso? 

Questi due problemi (uno è mio, in realtà) sarebbero stati troncati sul nascere se questo libro, invece di 300 pagine, fosse durato la metà. Devo essere sincera, non mi sarei proprio aspettata di dire una cosa del genere parlando dello stesso autore di quel capolavoro di sintesi e ammaliante semplicità che è Il deserto dei tartari.


Tirando le somme, questo è un romanzo che consiglio assolutamente se vi interessano le malsane dinamiche di una relazione tossica che è essenzialmente il Pretty Woman di un universo parallelo, ma solo se siete ben muniti di pazienza e non vi dispiace immergervi nella psicologia dei personaggi e tirarla un po’ per le lunghe.

Ma adesso ditemi, avete letto questo romanzo? Qual è il libro su cui proprio non riuscite a prendere una decisione?

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