Letture obbligatorie: leggere sì, ma non per piacere


Oggi, cari lettori, non sono qui a proporvi una recensione, ma semplicemente a chiedere il vostro parere su una spinosa questione con la quale vi sarete scontrati tutti voi almeno una volta nella vita (fortunati quelli che hanno sofferto così poco!): la lettura obbligatoria


La scuola, a quanto pare, oltre ai compiti ha trovato un metodo facile e veloce per tormentare i ragazzi, costringendoli a impiegare il proprio tempo libero per leggere libri che nessuno di loro si sarebbe mai sognato di aprire. Ora, di sicuro spingere bambini e adolescenti alla lettura è un compito più che lodevole, perché “una vita senza libri è una vita non vissuta”, per dirla con le parole di Jay Kristoff -sì, è stato il primo autore a cui ho pensato, va bene?- e, oltre alle mille sfumature, uniche e personalissime, di quel senso di immensità (non trovo un termine più adatto, perdonatemi) che ogni lettore ritrova tra le pagine dei propri libri preferiti, la lettura ha anche dei vantaggi più prosaici: migliora la memoria e la concentrazione, arricchisce le conoscenze personali e il proprio punto di vista, perfeziona le capacità di scrittura e di espressione, riduce lo stress e, in generale, stimola la mente, oltre a fornire un passatempo interessante come e più di vari congegni elettronici. 


Nate con un intento lodevolissimo, spesso queste letture finiscono però per diventare un vero e proprio strumento di tortura per gli scolari di tutto il mondo: un conto è, infatti, immergersi tra gli scaffali colorati della libreria, trovare un titolo o una copertina che susciti la nostra curiosità e vagare alla scoperta di un mondo che, seppur d’inchiostro, racchiude una piccola parte di noi stessi; ben altra cosa è l’essere obbligati a sprecare tempo e denaro per qualcosa con cui non avremmo mai voluto avere a che fare, e che rappresenta non tanto una via di fuga quanto piuttosto un vicolo cieco in cui cadere preda della noia più totale. 

Già il fatto che il gesto spontaneo e meraviglioso del leggere diventi un obbligo compromette il giudizio che si avrà su quel libro: sarà che io sono il Bastian contrario per eccellenza, ma per una come me che abbandona e riprende letture più velocemente di quanto si possa dire Indiana Jones e che si ritrova a leggere tre o quattro libri contemporaneamente, averne un quinto da finire entro qualche settimana di tempo (o mesi, dipende dalla clemenza della corte) rappresenta molto più di una seccatura, figurarsi un piacere. Un esempio sono le vacanze natalizie, periodo in cui, tra le altre cose, armata di plaid e tisana alla cannella assalto con decisione la mia tbr per far posto alle decine di novità ricevute in dono da parenti e amici; ora, provate a indovinare quando agli insegnanti di letteratura viene in mente che i loro alunni hanno un po’ di tempo da sprecare… Ed è così che la lettura finisce per diventare una costrizione, una perdita di tempo e, paradossalmente, un impedimento al vero piacere che risiede nei libri.


E quel che è peggio è che nella maggior parte dei casi la colpa non è solo di scadenze o imposizioni, ma del libro in sé! Infatti, perché un libro possa diventare lettura scolastica deve rientrare almeno in una di queste categorie (sì, cari insegnanti, la cosa ha smesso di essere un segreto circa mezzo secolo fa):
a) deve essere stato scritto prima degli anni ‘70 o, ancora meglio, prima del Novecento;
b) deve trattare di temi scolastici, possibilmente complessi (definizione che va dal pesante all’astruso, ma anche all’interessante);
c) se risponde parzialmente o per nulla ai punti a) e b), deve essere generalmente considerato un classico, magari non della letteratura di genere;
d) a volte, soprattutto alle superiori, è parte di un progetto scolastico che, volente o nolente, l’alunno si ritrova a fare.

Ora, prima di scatenare un putiferio, voglio specificare che non sto assolutamente affermando che i libri appartenenti a queste categorie siano brutti o illeggibili, anche perché se migliaia di persone più dotte e competenti di me hanno affermato il contrario mi sembra leggermente più probabile che abbiano ragione loro; dal canto mio voglio solo raccontarvi di un’esperienza emblematica del mio primo anno di superiori. 


Dopo appena un mese dall'inizio della scuola -una scuola del tutto nuova sempre più simile, in termini di varietà e pericolosità, ad una giungla tropicale- la nostra professoressa di italiano ci propone come compito di leggere un libro in un mese. “Che sarà mai?” mi dico “Io ne leggo uno a settimana!”. La mia tranquillità, accompagnata da una certa curiosità crescente, viene immediatamente smorzata dal titolo del libro: Cent’anni di solitudine. Insomma, si può costringere degli adolescenti ancora traumatizzati dal loro ingresso in un habitat sconosciuto a leggere un libro chiamato Cent’anni di solitudine? Apparentemente sì, se il suddetto libro è “un classico che va letto assolutamente” e classico è anche il liceo frequentato dai poveri ragazzi. Dopo il primo momento di sconforto, mi costringo a pensare positivo: “in fondo la prof ha ragione, è un pilastro della letteratura moderna, senza contare che finalmente potresti iniziare a scoprire la letteratura sudamericana e che alla fine è utile anche per ciò che stai studiando (ndr, l’argomento del mese era la struttura della fiaba; se anche voi non avete capito cosa abbia in comune con questo libro, non siete gli unici)”. 

Faccio anche finta di credermi, pensate un po’, almeno finché non finisco il primo capitolo. C’è del ghiaccio, e della gente parecchio strana. Andando avanti, la situazione non migliora: i personaggi hanno nomi tutti uguali, e le loro azioni sono avvincenti quanto una gara di corsa tra lumache e meno comprensibili di un testo in antico cantonese che descrive le bellezze della Pianura Padana. E non sono solo io a pensarlo, tant’è che quando, terminata la fatica, la professoressa ci chiede un parere, il disgusto e la risatina di circostanza che tenta di nascondere senza successo il disagio della lettura sono stampati su ogni viso. Ci sentiamo rispondere che forse non è un libro adatto alla nostra età e che per apprezzarlo come si deve dovremmo leggerlo una seconda volta, e magari una terza. Inoltre, ci viene richiesta una dettagliata relazione sull’albero genealogico della famiglia protagonista, in cui si contano 46 membri più gli acquisiti, relazione che, nonostante la sua mole voluminosa, verrà lasciata nell’oblio. Inutile dire che la nostra relazione con quella professoressa è stata poi irrimediabilmente compromessa, e che per ora mi tengo ben lontana da ogni scrittore sudamericano.


Ecco, dunque, la mia peggiore esperienza con le letture obbligatorie. Mentirei però se dicessi che tutte le volte si è ripetuto lo stesso identico copione, perché di tanto in tanto queste riescono a centrare almeno in parte il loro primigenio obiettivo: far interessare i ragazzi alla lettura. Nel mio caso posso dire con certezza che uno dei libri che mi ha spinto verso il mio destino di scaffali strapieni e tasche vuote è stato sicuramente Le streghe di Roald Dahl, che mi è stato prima letto e poi prestato dalla mia maestra delle elementari; certo non si tratta di un esempio di lettura obbligata, ma rende chiaro come la scuola possa davvero migliorare la vita degli studenti, anche e soprattutto grazie ai libri. E posso anche fare i nomi di alcuni compagni che hanno iniziato o ripreso a leggere dopo essere stati particolarmente colpiti da una lettura scolastica, oppure fornire i titoli di libri stupendi che avrebbero finito per stazionare a lungo termine nella mia tbr, o di non entrarci nemmeno (Itaca per sempre, per esempio, oppure L’isola di Arturo e Il giorno della civetta). 

Anche guardando alla mia personale esperienza, posso dire che per far sì che questi romanzi non siano percepiti subito come “il nemico”, basta un semplice trucco: dare agli studenti una possibilità di scelta, anche solo tra una coppia di libri. Questo piccolo stratagemma, come alcune insegnanti molto lungimiranti avevano intuito, ha fatto sì che mi sentissi meno obbligata, costretta, imboccata, e che invece vivessi la lettura con un piacere se non genuino, perlomeno non del tutto assente; la mia indole da Bastian contrario già citata, infatti, veniva così ingannata: se con un unico libro obbligatorio potevo scaricare la responsabilità solo sulla professoressa antiquata e decrepita, in seguito ad una scelta diventavo una parte attiva della lettura
E a prescindere da tutti i complessi meccanismi psicologici, scegliere è fondamentale soprattutto perché permette di accaparrarsi subito il libro con meno pagine


Scelta o non scelta? Invogliare o allontanare? Lettura di piacere o obbligatoria? Per quanto mi riguarda, posso dire che, se dosata e composta da qualche alternativa, quest’ultima non può che fare bene, ma che in caso contrario è solo da abolire. Anche perché, se è vero l’adagio “troppi libri, troppi pochi secoli” (sono nella mia fase Kristoff, lasciatemi in pace!), sarebbe davvero un peccato sprecare del tempo prezioso per qualcosa che ci lascia solo cenere di falò improvvisati o incarti per il pesce!

E voi? Siete o meno sostenitori delle letture obbligatorie? Quali sono le vostre esperienze a riguardo? Fatemelo sapere nei commenti!

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