Città di spettri


Non sono una grande fan di Halloween. Non lo aspetto come una festa irrinunciabile, non conto i giorni che mi separano al 31 ottobre, e non decoro casa con settimane di anticipo. Certo, da bambina mi sono sempre divertita ad andare in giro travestita da strega (costume che avrei riutilizzato per anni adattandolo a vampira e mangiamorte), a mangiare qualche caramella in più, a restare sveglia fino a tardi con le amiche, ma quando si trattava del volto più spaventoso di questa festa mi sono sempre tirata indietro. In genere, nel mio gruppo di amici sono quella che durante le serate Netflix e pizza cerca con uno slancio quasi disperato di proporre una commedia romantica di fronte ai vari thriller e horror: perché no, non amo i film dell’orrore, non amo spaventarmi, non amo le storie di fantasmi. 

O meglio, non le amavo, perché non ho potuto fare a meno di innamorarmi di quella inquietante-ma-non-terrorizzante racchiusa in questo libro: scaturito dall’acuta penna di Victoria E. Schwab, ecco a voi Città di spettri.


La vita di Cassidy Blake è sempre stata immersa nel paranormale: i suoi genitori, infatti, sono famosi scrittori dell’occulto che indagano i misteri irrisolti della storia. Ma è da quando Cass si è ritrovata letteralmente immersa nel fiume ghiacciato in cui è annegata che le cose si sono complicate. Quel giorno sarebbe morta se non fosse stata salvata da Jacob, un fantasma -sì, un fantasma- ironico ed enigmatico che è diventato il suo migliore amico, oltre che il suo compagno nelle escursioni oltre il Velo che separa i vivi dai morti. Perché Cass ha scoperto di essere capace di attraversarlo, di vedere i fantasmi che vi sono intrappolati e addirittura di scattare loro delle foto con la sua malridotta macchinetta vintage. Ma no, tutto questo non è abbastanza, non secondo i suoi beatamente ignari genitori, che l’hanno appena informata di essere stati ingaggiati per girare un programma televisivo sulle città infestate e che lei -e di conseguenza Jacob- è in partenza per l’Europa. Prima meta: Edimburgo, Scozia, patria dei cimiteri, cunicoli e vicoli più infestati del Regno Unito (il che è tutto dire). Ignorare l’insistente tap-tap-tap del Velo sulla sua spalla si prevede decisamente difficile, ma ciò che Cass e Jacob trovano al loro arrivo supera ogni aspettativa. A quanto pare, la nostra protagonista non è l’unica con il suo strano “dono”, che per giunta non sfrutta nemmeno come dovrebbe; a quanto pare, Jacob le nasconde più di un segreto; a quanto pare, qualcuno di molto, molto pericoloso si è messo sulle tracce di Cassidy, e non ha intenzione di lasciarla andare.


Al solo suono del nome “Victoria Schwab”, ho immediatamente realizzato di dover comprare questo libro: nonostante di questa autrice abbia letto solamente Magic (perché sì, La vita invisibile di Addie La Rue è ancora tra la pila di non-letti, vergogna e sacrilegio), mi sono ritrovata con mia grande sorpresa ad apprezzarla davvero molto. Ma il secondo, vero campanello di allarme (attenzione, un’accumulatrice seriale di nuove uscite è a dieci metri da te!) è stata la città in cui questo libro è ambientato: la meravigliosa Edimburgo.


Come può una qualsiasi città diventare la città? Cosa -dai monumenti al cibo, dalla compagnia ai negozi, dal verde alla sua atmosfera- la rende diversa da qualsiasi altro insieme di case in cui siamo passati durante la nostra vita? Per quanto mi riguarda, è stata l’esperienza a cui è legata: la mia prima vacanza totalmente da sola, fatta in un college scozzese. Detta così può sembrare una cosa da niente, ma vi assicuro che nonostante abbia passato ad Edimburgo poco più di un giorno, la ricorderò sempre come la città che ha accolto con un cielo piovoso e una boccata d’aria fresca una quasi-dodicenne tanto eccitata quanto spaventata di essere per la prima volta lontana da casa. Ritrovare quell’atmosfera frizzante, misteriosa e di perenne brutto tempo (e ci tengo a precisare che era luglio) ed esplorare tra le pagine uno scorcio della città che ho visitato - il Castello, Greyfriars Kirk, l’Elephant House- è stato come rituffarsi a capofitto nella vacanza più emozionante che abbia mai fatto.


E la dolce patina di ricordi, stranamente, non si è fermata qui, ma proprio come il Velo ha cominciato ad avvolgere anche la figura della protagonista, Cassidy. Anche se fino a qualche mese fa questo libro non lo conoscevo nemmeno, dopo le primissime righe mi è infatti sembrato che Cass facesse parte della mia vita da lettrice da tempo immemore. Avete presente quelle persone con cui riuscite ad intendervi immediatamente senza un motivo apparente? Beh, con Cassidy mi è successa più o meno la stessa cosa. Non so nemmeno spiegarvi razionalmente la natura di questa speciale connessione, fatto sta che dal primo capitolo ho continuato la lettura con un sorriso sulle labbra (o un grido di dolore soffocato perché, insomma, cosa vi aspettavate da una storia di fantasmi?). Sarà la passione per la sua macchinetta “rovinata ma non distrutta, diversa, ma non per questo un rottame, un po' come me; un tantino speciale, un tantino strampalata”, che condivido in pieno (dai miei sette anni ho una piccola macchina rosa shocking che si può permettere di guardare dall’alto in basso le cinque fotocamere del mio telefono), saranno i continui riferimenti potterhead, sarà la famiglia alquanto originale che si ritrova ma l’ho sentita immediatamente vicina. Non posso nemmeno dire di essermici rispecchiata perché non sarebbe del tutto vero; diciamo che se mi chiedeste di organizzare una girl night con le protagoniste letterarie a cui mi sono più affezionata, oltre a Jo March ed Elizabeth Bennet chiamerei di sicuro anche Cassidy Blake. E no, fidatevi, non c’è un modo più razionale di metterlo su carta. 


Cassidy però non è l’unico personaggio degno di nota. Cosa dire infatti di Jacob, il suo migliore amico fantasma -pardon, “diversamente corporeo”? Se questo libro mi ha lasciato qualcosa, è stata sicuramente l’amicizia che lo lega a Cassidy: per una volta sono stata felice di trovare al posto di una di quelle storie d’amore eroiche e passionali (che comunque entro un certo limite apprezzo davvero molto) un sentimento “comune”, senza slanci esagerati, proprio come le amicizie di ognuno di noi. Comune, certo, ma non per questo meno puro o importante: è solo grazie alle mille regole di questo bizzarro rapporto che due figure “al limite” (non saprei come definire un non-morto e una quasi-morta che riescono a passare dall’aldilà all’aldiqua con la naturalezza con cui io vado dalla cucina alla sala da pranzo) riescono ad arrivare a fine giornata perché, diciamolo, da soli non saprebbero che pesci pigliare. Ma Jacob non è solo una spalla, un simpatico personaggio secondario da abbandonare lì: anche se per ora di fatto ne sappiamo davvero poco, è indubbio che le circostanze della sua morte -e i motivi per cui ha deciso di nascondere a Cass questi e altri segreti- saranno un punto di forza nei prossimi romanzi. E che sollievo vedere finalmente il fantasma di un adolescente che ama i fumetti, si difende col sarcasmo, ama il cibo spazzatura e, di fatto, si comporta come il ragazzo che è!


Questo libro, però, non è certamente privo di piccole pecche, che essenzialmente sono le stesse di Magic, altro fantasy, primo della sua saga, che la Schwab ci ha regalato. In questo libro come nell’altro, infatti, di alcuni personaggi secondari ci viene detto solo il minimo indispensabile: basti pensare non solo agli eccentrici genitori di Cassidy, ma anche alla guida Findley e all’enigmatica Lara, che tra l’altro ha un ruolo fondamentale all’interno della vicenda (ovviamente non vi dirò quale...); la stessa cosa accade in parte anche con il worldbuilding (anche se qui non posso vederci una vera pecca perché la storia è ambientata ai giorni nostri e c’è davvero poco da spiegare) ma soprattutto con il cattivo di turno, che rispetto al suo potenziale viene liquidato quasi in un battito di ciglia in un finale che, per quanto godibile, va un po’ a smontare il climax che l’autrice era riuscita sapientemente a creare. 

Attenzione, però: questi elementi non ne hanno intaccato la bellezza di fondo, ma si tratta semplicemente di quei particolari che avrebbero potuto farne il libro. Bisogna però tenere presente che si tratta del primo volume di una trilogia, anche se, proseguendo le analogie con Magic, sembra di trovarsi quasi di fronte a un romanzo autoconclusivo: percependolo in questo modo, è probabile che alcuni elementi risultino poco approfonditi, mentre si deve tener presente che ci sono altri due volumi in cui confido che l’autrice risolverà queste piccole pecche. E magari, chi può dirlo, aggiungerà una settantina di pagine in più a manoscritto.


Cosa dire, dunque, di Città di spettri? Qualche difettuccio ce l’ha, certo, ma per qualche straordinario motivo è riuscito a scaldarmi il cuore, e, a mio parere, il primo compito di un libro dovrebbe essere proprio questo. Perciò, in questi giorni ormai brevissimi (o cambio di orario, mi abituerò mai a te?), avvolgetevi in un plaid come la carne in un burrito, preparatevi una tisana fumante e godetevi le mille peripezie di un non-morto e di una quasi morta.

I fantasmi, che siano spettri, ricordi o segreti inafferrabili, fanno sempre paura, ma magari fermarsi un momento e cercare di comprenderli non è un’idea così malvagia; esserne terrorizzati non è poi così necessario. 

Tranne ad Halloween, certo. Chi ha tempo per le commedie romantiche ad Halloween? 

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