Magic


Dopo secoli di ingiustificata assenza, in seguito al superamento di prove inimmaginabili -quali verifiche, interrogazioni e conseguenti esaurimenti nervosi- e ad uno sforzo sovrumano per staccarsi dal divano e dalla serie tv di punta, la vostra eroina preferita torna ad armarsi di tastiera e di bloc-notes e vi propone una recensione nuova di zecca: quella di Magic, il primo volume della serie Shades of Magic, scaturita nientemeno che dalla penna della scrittrice americana Victoria E. Schwab.


Chissà perché, Londra si è sempre prestata benissimo a fare da sfondo a storie misteriose, fantastiche e a tratti inquietanti: nonostante l’aria apparentemente normale, infatti, nei libri -e non solo- questa famosissima metropoli europea diventa il palcoscenico dei fatti più singolari, nel bene o nel male. Ecco, ora immaginatevi cosa può succedere in un mondo in cui di versioni di Londra ne esistono ben quattro, ognuna identificata da un colore:Grigio per la città meno magica (quella che tutti conosciamo), Rosso per il ricco impero, Bianco per il mondo affamato”, e infine Londra Nera, che “aveva permesso alla magia di prendere il sopravvento e ne era stata consumata”. Gli unici che dopo la sua distruzione hanno il potere sufficiente per passare da un universo all’altro sono gli Antari, i possessori della vera magia di sangue, sempre più rari in questo mondo diviso: i soli rimasti sono infatti Holland, l’Antari al servizio degli spietati gemelli Athos e Astrid Dane, governatori crudeli e senza scrupoli di una Londra Bianca in rovina, e Kelle. Kelle, cresciuto amorevolmente dalla famiglia reale di Londra Rossa insieme al principe Rhy, divenuto un vero e proprio fratello. Kelle, che delle sue origini non sa nulla e che spesso, nonostante tutto, si sente quasi in gabbia. Kelle, che in verità è un fuorilegge che contrabbanda oggetti magici da una Londra all’altra, almeno finché da quella Bianca non riporta un artefatto pericoloso, testimone di un’epoca oscura e di una magia cattiva -anzi, di una “magia intelligente, e intelligente significava più pericoloso di cattivo, sempre e comunque”. Quando di conseguenza l’Antari si trova costretto a scappare, si rifugia nella Londra Grigia: qui si imbatte in Delilah Bard, una ladra affamata di avventura che insieme a lui si caccerà in un mare -anzi, in un fiume- di guai… 


Questo libro per me è stato una piacevolissima scoperta: l’ho scaricato quasi per caso sul mio Kindle dopo aver visto il nome dell’autrice (di cui La vita invisibile di Addie LaRue mi aspetta da secoli sul comodino in attesa del momento giusto per essere iniziato), e nonostante la breve trama non sapevo assolutamente cosa aspettarmi; probabilmente ciò ha reso ancora più gradevole questa bella sorpresa, che pur con i suoi piccoli difetti è stata una fantastica lettura


Iniziamo dai personaggi principali, Kelle e Delilah. Nonostante le loro molte differenze, entrambi si distinguono per la loro comune voglia di libertà e di avventura e si sentono in qualche modo “prigionieri” delle proprie vite: Lila perché è costretta a vivere nei bassifondi di Londra Grigia pur sognando di imbarcarsi in folli imprese su una nave pirata, e Kelle perché, in qualità di ultimo Antari, è legato con un nodo fin troppo stretto alla famiglia reale di Londra Rossa, i Maresh. Quest’ultimo in particolare si considera spesso “più una proprietà che un principe” nel suo lavoro di ambasciatore e messaggero verso le altre Londre, e benché possa contare sul rapporto fraterno con il giovane principe Rhy e sul sostegno della famiglia reale, la maggior parte delle volte sente semplicemente il bisogno di evadere dall’aura di fama, mistero e addirittura santità che lo circonda: troppo spesso, infatti, il suo occhio destro -di “un nero che correva da un angolo all’altro riempendo sia il bianco che l’iride”, indice della magia più pura e caotica- diventa l’unica cosa che la gente (e la sua famiglia acquisita) riesce a vedere di lui. È in momenti come questi che, pronunciando l’ordine As Travars (in viaggio), si reca a Londra Grigia portando con sé qualche innocuo ninnolo magico da vendere al Tiro di Schioppo, una taverna che “non era una sorgente (di magia) di per sé, ma era qualcosa, un fenomeno, un punto fermo”. È proprio qui che fa il suo primo incontro -indesiderato- con Lila, che, cresciuta praticamente sola tra mille difficoltà, si è guadagnata il soprannome di Ladro Ombra -perché per lei “se valeva la pena di avere qualcosa, allora valeva la pena di prendersela”. Cosa, questa, che Lila fa continuamente, rincorrendo fino allo sfinimento un futuro migliore, fatto di viaggi e avventure a bordo di una nave tutta sua -sogno che le sembra più irrealizzabile di quanto non voglia ammettere- e al tempo stesso scappando dai pericoli che tenta di lasciarsi alle spalle, forte dell’orgoglio, della testardaggine, dell’ironia e dell’astuzia con cui nasconde le sue fragilità e le sue paure. E se Kelle e Lila da soli sono già ottimi personaggi, quando sono insieme si crea una chimica fantastica (e non sto parlando solo della sfera amoroso-sentimentale) che arricchisce una storia già di per sé ottima.


Ma per quanto abbia apprezzato questa meravigliosa coppia di protagonisti, il mio personaggio preferito è stato senza dubbio Holland, “l’Antari che viene da lontano”. Controparte perfetta di Kelle, con il quale condivide la consapevolezza di un grande potere ma anche dei sacrifici che esso richiede, Holland affronta però la situazione in modo diametralmente opposto: se infatti il primo, come tutto il popolo di Londra Rossa, considera la magia una risorsa limitata di cui non abusare, il secondo la vede “come come qualcosa che deve essere conquistato, asservito, controllato”, in modo da evitare una tragedia simile a quella di Londra Nera, dove avveniva esattamente il contrario; tramite i due Antari, dunque, ci vengono presentati due ideali contrastanti: il “Potere nell’equilibrio” e il “Potere nel dominio”. Dominio a cui è sottoposto lo stesso Holland, che è stato vincolato con un incantesimo oscuro al re di Londra Bianca in modo da esserne costretto all’obbedienza, conservando però la sua capacità di pensare -cosa che probabilmente rende la situazione ancora più insopportabile. E forse il motivo che mi ha portato ad affezionarmi particolarmente ad Holland è stato proprio il non capire dove finisse la sua volontà e dove iniziasse quella dei Dane, e quante delle sue azioni potessero così trovare una per quanto effimera giustificazione. O magari, invece, è stata la curiosità di conoscere la parte di sé che è stato costretto a reprimere, e il dubbio costante che non fosse già emersa, o ancora l’indiscutibile fascino del cattivo, la voglia di scoprire le sue motivazioni e le sue vere convinzioni. L’unica cosa certa, insomma, è che mi è piaciuto parecchio, e anche per questo motivo non ho potuto fare a meno di notare i piccoli difetti nell’opera della Schwab.


Per quanto possa infatti descrivere la bellezza di questo libro, non posso certo affermare che sia privo di qualche imperfezione, soprattutto per quanto riguarda gli antagonisti in questione. Sia a Holland che agli spietati gemelli Dane è stato infatti dedicato molto meno spazio di quanto a mio parere meritassero: questi tre personaggi complessi, perfetti per il loro mondo fatto di violenza e supremazia ma anche di lenta decadenza, risultano infatti poco approfonditi -anzi, poco “sfruttati”- rispetto al loro enorme potenziale. Sembra quasi che l’autrice non abbia avuto il tempo per concentrarsi a dovere su di loro e trasformare questi diamanti grezzi nei raffinati gioielli che sarebbero potuti diventare -mettendo bene in chiaro, però, che sempre davanti a dei diamanti ci troviamo. In misura minore ciò è accaduto anche con la famiglia Maresh: anche se non propriamente fondamentali ai fini della storia, avrei preferito che venissero coinvolti maggiormente il re Maxim, la regina Emira e soprattutto Rhy, il principe ereditario, che dalle sue apparizioni sembra un personaggio assolutamente degno di essere approfondito (cosa che spero avverrà in seguito). 

Un’ultima critica che ho da fare riguarda il finale: grazie al climax efficacemente costruito dall’autrice avevo aspettato, temuto e immaginato ogni scontro e combattimento, e stavo già pregustando i picchi di adrenalina e di ansia per il lento arrivo dello scioglimento. Invece, mi sono trovata davanti a una soluzione affrettata, che come è successo con gli antagonisti -anzi, proprio per questo- poteva essere gestita molto meglio. Devo dire che però l’epilogo quasi autoconclusivo ha stuzzicato parecchio la mia curiosità, tant’è che il seguito, Legend (tra parentesi -letteralmente- il titolo originale è A Conjuring of Light, che con quello italiano c’azzecca poco e niente…), mi attende già sul comodino per un altro viaggio a Londra Rossa.


Alla fine questo libro si è rivelato un fantasy inaspettatamente originale che, anche grazie alla splendida scrittura della Schwab (su cui non mi dilungo, dato che ormai il suo talento è giustamente riconosciuto da tutti) e al dettagliato worldbuilding, risulta estremamente appassionante nonostante qualche pecca. 

Perciò in questo periodo in cui nemmeno gli aerei sanno più cosa significa volare e i viaggi sembrano un lontano ricordo, fatevi un favore: pronunciate il vostro As Travars e immergetevi nel mondo di Magic. Vi assicuro che d’ora in poi non vedrete più Londra allo stesso modo… 

E voi, avete letto questo libro? Conoscete l’autrice? Qual è stato il più bel “viaggio letterario” che avete fatto?

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