Circe


Dopo una lunga assenza qui sul blog, sono finalmente tornata in attività (adesso sto esagerando, diciamo che ho ricominciato a battere i tasti del computer). Più che altro, a causa del terrore puro dell’ansia della malinconia che ha pervaso questa settimana in vista del temuto rientro a scuola -della quale ormai ho un ricordo abbastanza vago- avevo decisamente bisogno di distrarmi: perché allora non cercare di mettere da parte il problema e continuare ingenuamente a sognare ad occhi aperti? 

Per ricordare i mesi trascorsi ho deciso quindi di proporvi la recensione di Circe, retelling mitologico della ormai famosissima Madeline Miller, che vince a mani basse il titolo di “libro della mia estate 2021”. Pronti ad immergervi nelle maliarde atmosfere dell’isola di Eea?


Tutti conosciamo Circe, la terribile maga che tramuta i compagni di Odisseo in maiali prima di soccombere al multiforme ingegno e al fascino tormentato dell’eroe omerico. La maggior parte poi si ricorda del suo esilio su Eea e della sua famiglia: il padre Elios, titano che guida il carro del sole, la madre Perseide, ninfa oceanina, i fratelli Perse ed Eete, padre di Medea e custode del Vello d’Oro, e la sorella Pasifae, regina di Creta che dà alla luce il Minotauro. Qualcuno rammenta anche il suo amore non corrisposto per Glauco, un pescatore tramutatosi in dio del mare, e la sua vendetta su Scilla, ninfa bellissima scelta al suo posto e destinata a diventare il mostro affrontato dallo stesso Odisseo. Attenendoci a queste informazioni, e da qualche altro mito spesso in contrasto con i precedenti, vediamo come la figura di Circe ha sempre le stesse, immutabili caratteristiche (prettamente femminili in un mondo maschilista come quello greco): malizia, potere, mistero, astuzia destinata però a fallire, crudeltà e piacere nel metterla in atto. E se invece Circe fosse molto, ma molto di più?


Questo è il presupposto dietro al libro di Madeline Miller, che ci rivela un lato della famosa maga che non conoscevamo, o meglio che ci veniva tenuto nascosto. Possiamo accorgercene già partendo dal nome: κίρκоς (kìrkos), infatti, significa “sparviero”, perché di uno sparviero Circe ha gli occhi gialli -non dorati come quelli della maggior parte dei figli di Elios- e la voce troppo acuta, più simile a quella di un mortale che di una dea. Ed è questa la prima caratteristica che la futura maga ci rivela di sé: il senso di inadeguatezza che prova vicino a ninfe e titani, membri di una famiglia solo di sangue e non di fatto, che la scherniscono o, alla meglio, la ignorano -perfino il padre Elios, col quale passa la maggior parte del suo tempo, non la considera affatto. C’è un motivo se quelli tra individui sono definiti rapporti umani: gli dei non ne hanno bisogno, non quando sono circondati dal potere, dai fumi dei sacrifici, dai banchetti a base di nettare e perfidia. Non quando tutto ciò che fanno è mirato ad averne sempre di più. 

Circe, invece, è diversa: non si sente una titanide né le importa di esserlo, non cerca le preghiere dei mortali né arreca loro dolore per averne di più (cosa che gli dei, invece, adorano fare), e anzi scoprirà di sentirsi più affine a loro che agli altri abitanti del palazzo di suo padre. “Tutta la mia vita non era mai stata che tenebre e abissi, ma io non ero parte di quelle acque scure. Ero soltanto una delle creature che la abitavano, eppure “vorrei poter dire di aver trascorso tutto quel tempo cercando una via di fuga, ma in verità mi ci ero aggrappata, temo, convinta che quei tediosi tormenti fossero tutto ciò che c’era, fino alla fine dei giorni”: Circe è rinchiusa in una gabbia d’oro e d’ossidiana, un’eternità che la priva di sé stessa invece di concederle opportunità sempre nuove. 


Tutto comincia a cambiare, però, con il primo dei tanti incontri narrati in questo libro: quello con Prometeo, il titano che si è macchiato di ὕβϱις (hybris, letteralmente “tracotanza” o “superbia”, il più grave crimine nei confronti del divino) pur di aiutare quei mortali che gli altri dei trascurano e affliggono, e che ora deve pagarne le conseguenze. Mentre le ninfe e i titani del palazzo vedono la sua punizione come uno spettacolo e, meno superficialmente, un avvertimento di Zeus a non sfidare la sua autorità con un’altra titanomachia, Circe prova pietà e curiosità per quel suo potentissimo zio che, rifiutando il perdono divino e difendendo le sue azioni, è costretto alla dannazione molto probabilmente eterna. E’ grazie a lui che la nostra futura maga inizia a capire che “non tutti gli dei devono per forza essere uguali”, ed è forse questa verità la primissima causa del suo esilio ad Eea, dove viene spedita perché rivelatasi una titanide troppo potente (e quindi pericolosa) agli occhi degli Olimpi: la magia che scopre di possedere è infatti una caratteristica talmente unica che apparentemente nessun altro essere, divino o mortale, riesce a contrastarla.


Ma non è soltanto la solitudine della sua isola a forgiare -o meglio, liberare- il suo carattere e la sua personalità, perché Prometeo è solo uno dei molti volti che Circe incontra sul suo cammino: tra questi ovviamente c’è Odisseo, l’eroe dal multiforme ingegno, ma anche Eete, l’unico fratello a cui la maga si affeziona, chiudendo però gli occhi sulla sua crescente brama di potere; Pasifae, una lama affilata con ferina crudeltà disposta a tutto per rimanere in gioco; Glauco, il primo amore e il primo uomo a farla sentire qualcuno, a cui dà tutta sé stessa scoprendo però l’amarezza del tradimento; Dedalo, geniale inventore prigioniero come lei dei perversi desideri di qualcun altro, e come lei perseguitato dai frutti delle sue azioni; mostri come la crudele Scilla o il feroce Minotauro, che tormentano la sua vista e la sua coscienza; Ermes, la sua ironica e calcolatrice finestra sul mondo; Telemaco, sperduto e senza un padre anche dopo il ritorno di Odisseo ad Itaca; Penelope, che brandisce la sua pazienza come un’arma… Queste e molte altre sono le figure che amano, odiano, tradiscono, aiutano e in generale lasciano un segno nella vita di Circe: chi la caricherà di fardelli pesantissimi ma sostenuti sempre a testa alta, chi la libererà dal loro peso, e soprattutto chi farà entrambe le cose. Ognuno di loro la renderà nel bene o nel male la famosa signora di Eea, quella che trasforma i marinai di passaggio in porci, ma anche colei che fornisce aiuto a chi la rispetta e la onora. Quella che non si accontenta più delle briciole, ma che esige tutto ciò che si merita. 


Purtroppo o per fortuna, una persona non diventa quella che è a causa delle sue origini o del suo sangue -non solo, almeno-, ma grazie o per colpa di coloro che incontra sulla sua strada: Circe non ama essere la cattiva, e, anzi, i suoi sbagli le rodono costantemente la coscienza, ma quelle azioni tremende e stupefacenti compiute grazie ai suoi φάρμακα (pharmaka, le sue pozioni e le sue erbe magiche) sono semplicemente l’effetto di ciò che la nostra protagonista ha vissuto, spesso nel disinteresse generale. E’ interessante notare come in greco la parola φάρμακον, pharmakon, sia una vox media, non abbia cioè un significato spiccatamente positivo o negativo: essa infatti può significare sia “veleno” che “medicina”, “rimedio”. Allo stesso modo, la magia di Circe non è né buona né cattiva, proprio come la sua figura che, ormai lo avrete capito, a discapito del suo sangue divino è profondamente umana: i risultati delle erbe che raccoglie e delle pozioni che prepara, la cui descrizione è stata un elemento che ha ulteriormente impreziosito questo libro, non sono univoci, ma dipendono da chi la maga ha davanti.


Spero che arrivati fin qui non vi siate annoiati troppo, ma d’altronde è questo il rischio dei retelling: parlare per l’ennesima volta di un personaggio famosissimo può diventare un’esperienza pesante e ripetitiva, un inutile “di più”. Beh, forse sarà il caso di questa recensione eccessivamente lunga (non so proprio darmi una regolata, lo so), ma di sicuro non è quello di Circe vero e proprio: lo stile della Miller è evocativo, poetico e pungente come Circe stessa, capace di trasportarti in lontane atmosfere incantate senza però attutire il dolore della protagonista, o l’orrore di ciò che troppo spesso ha dovuto subire. Una vera, piacevolissima scoperta che mi rende sempre più curiosa riguardo a La canzone di Achille.


Come vi ho detto all’inizio, Circe in futuro lo ricorderò senza ombra di dubbio come il libro dell’estate 2021: oltre che per tutti i pregi che vi ho diffusamente descritto sopra, un altro motivo è però la splendida cornice in cui mi sono trovata ad affrontare la sua lettura. Questo libro mi ha infatti accompagnato in una vacanza meravigliosa: la mia prima visita nel Cilento, di cui mi ricorderò per un bel pezzo l’acqua cristallina, i tramonti sempre diversi l’uno dall’altro, le gite in barca alla scoperta di gole e grotte marine, e ovviamente i mille imprevisti che una vacanza porta con sé -ingenuo chi crede che le ferie siano fatte solo di relax! Ho passato ore seduta al fresco dei pini nel giardino della casa che è stata nostra per una settimana, con lo sciabordio delle onde e il frinire delle cicale come sottofondo, gettando un’occhiata al capitolo che stavo leggendo e un’altra al mare di fronte a me; le pagine si sono leggermente rovinate per il sale e la sabbia, la copertina si è spiegazzata buttando tutto alla rinfusa nella borsa del mare, ma non mi importa, perché adesso che l’estate è tristemente ma inesorabilmente finita, posso dire di averne conservato un brandello con me. 


Grazie mille a chi è arrivato fin qui sorbendosi, oltre alla regolamentare recensione, questo mio sfogo vagamente deprimente. La maggior parte di voi, cari lettori, sarà già tornata alle proprie attività, molti, come me e la maggior parte degli studenti, trema al pensiero della campanella di domani, altri più fortunati hanno ancora qualche giorno a disposizione; in ogni caso, auguro a tutti una serena ripartenza perché, insomma, dopo questi due anni ce la meritiamo, no? 

Io inizio questo “Capodanno non ufficiale” con la malinconia di fine stagione, un po’ di acciaccata speranza e qualche farfalla nello stomaco che ha decisamente bisogno di un ansiolitico: voi, invece, come cominciate o avete cominciato questo nuovo anno scolastico/lavorativo? Fatemelo sapere nei commenti!

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