L'invito


Beh, a quanto pare è giunto il momento di augurarvi buona Pasqua. Perdonatemi se sono alquanto sorpresa, ma se devo proprio dire la mia, sono un po’ scettica al riguardo. Insomma, appena una settimana fa ero impegnata a fare gli auguri per Natale e per Capodanno, mi sentivo piena di speranza per quel 2021 che si sarebbe prospettato “l’anno della rinascita”, la luce in fondo al tunnel, la giusta ricompensa per tutta la nostra pazienza e la nostra resilienza (d’accordo, forse sto esagerando); e invece, siamo arrivati a Pasqua -e mi dispiace dirvelo, ma ⅓ di questo anno è bello che andato- e non è cambiato nulla. Nulla. E’ più di un anno che le mie giornate si susseguono identiche, che la mia agenda è pressoché intonsa, che non passo un pomeriggio fuori casa in completa serenità. Ma va bene, ci sta: ci sono persone che continuano a morire, e ciò che noi viviamo ogni giorno -soprattutto noi studenti- è solo una minuscola parte del dramma che è attualmente in atto sulle platee di tutto il mondo. Però, insomma, stiamo davvero passando per la seconda volta quella che è per antonomasia la festa della rinascita e del passaggio a casa da soli, ancora fermi a quello stesso identico punto? 

Personalmente, questa è forse la cosa che più mi intristisce di questo periodo: io sono e sono sempre stata molto affezionata a quella strana e surreale gabbia di matti che è la mia famiglia, e le feste per me hanno significato soprattutto perché ho la fortuna di passarle con le persone che amo e che mi amano. Ma adesso, avere addirittura paura di abbracciare i miei familiari… se me l’avessero detto un anno fa forse sarei scoppiata a ridere! Ecco cosa è per me la Pasqua, il Natale e qualsiasi altra festa comandata: una casa piena della gente più strana che vi possa venire in mente, una tavola stracolma di cibo che basterebbe a sfamare un esercito per una settimana, l'aria piena di profumi, chiacchiere, risate. 

E ovviamente, durante le feste -e non solo- si assiste ad accese discussioni: dal senso della vita a chi ha mangiato l’ultimo fiadone, dagli ultimi pettegolezzi alle notizie del telegiornale, in una famiglia tutto e il contrario di tutto può essere abilmente smentito o confermato. Si parla, si scambiano opinioni, si gesticola, si urla… tutte cose che su Meet o Zoom è piuttosto difficile fare! Ma se vi dicessi che attraverso un libro è possibile rivivere in minima parte -ma in modo molto più chiaro e ordinato- il caravanserraglio domestico che si scatena tra il terzo primo e il primo secondo? 


Mi perdonerà l’autore Marco Rassu se menziono il suo libro, L’invito -di cui, non scordiamoci, questa dovrebbe essere una recensione- solo arrivati a questo punto. Dopo questa introduzione/augurio/sfogo/chiacchierata a casaccio, voglio dunque parlarvi dell’opera prima di questo autore, che in circa 90 pagine è riuscito a riassumere i più grandi dubbi che da secoli attanagliano l’umanità e, forse, anche a fornire qualche risposta. 


Quante domande si è posto l’uomo nel corso dei secoli, e quante risposte diverse si è dato? Quanto questa “ricerca della verità” è stata influenzata dal diverso lavoro, luogo di nascita, cultura ed esperienza personale di ciascuno? Questo è il presupposto che ha portato, dopo anni di attesa, all’organizzazione di “un incontro fra uomini profondamente differenti che proporranno la loro visione di vita mettendola a confronto con quella degli altri”. Oltre a un operaio, un miliardario, un indigeno della Papua Nuova Guinea, una giovane universitaria e molti altri singolari personaggi, è stato invitato anche il nostro protagonista, un surfista. Tra flashback e dibattiti, verremo trasportati attraverso un “campionario dell’umanità” che ci permetterà di comprendere al meglio quegli aspetti che governano le nostre vite, come per esempio il tempo, la felicità e la morte, su cui tanto si discute ancora oggi. Se riuscirete effettivamente a schiarirvi le idee o se invece vi ritroverete più confusi di prima, non sta a me né agli organizzatore de “Alla ricerca della verità” dirlo. 


Quello che l’autore si è gentilmente offerto di mandarmi è un libro piuttosto particolare, almeno rispetto alle mie letture abituali, e per questo, devo ammettere, ho fatto un po’ di fatica a capire se mi fosse piaciuto e, di conseguenza, a recensirlo. L’invito, infatti, nonostante la sua apparente semplicità, è di una profondità sconcertante, e oltre a ciò ha anche il merito di essere di facile comprensione, alla portata di tutti: la narrazione in prima persona, rigorosamente al presente, e -ovviamente- le molte sequenze dialogiche lo rendono chiaro e immediato anche per chi come me non riesce nemmeno a comprendere nemmeno come si esce dal parcheggio del centro commerciale, figuriamoci tematiche importanti come quelle trattate dall’autore. 


Non è questo però l’elemento che più mi ha intrigato: la particolarità de L’invito, a mio avviso, risiede infatti proprio nei molteplici punti di vista a proposito di un argomento che, pur essendo lo stesso, assume diversi significati man mano che il capitolo va avanti. L’opinione di un affarista di Wall Street sarà infatti diversa da quella di un indigeno eschimese, di un attore di Hollywood o di un cacciatore russo: è infatti innegabile che il nostro luogo di nascita, le nostre possibilità economiche, la nostra famiglia influenzino profondamente  il modo di pensare di ognuno di noi. Così per esempio il tempo, uno dei temi più dibattuti all’interno di ogni società, diventa man mano uno strumento per produrre denaro, un aguzzino dal quale non si può scappare, un’occasione per progredire ed evolversi, un vecchio e ben noto amico, un’opportunità irripetibile per divertirsi. Questo libro è quindi la dimostrazione che la maggior parte delle volte una realtà ha diversi -troppi- lati da cui può essere guardata, e che vale la pena di prenderli tutti in considerazione. Ma a questo punto, probabilmente, vi ritroverete a chiedervi: qual è il lato migliore da cui guardarla, questa realtà? Ebbene, non ne ho idea. Come già ci annuncia il moderatore della riunione, infatti, “la nostra sarà solo una ricerca alla fine della quale non avremo la pretesa di aver capito ma la consapevolezza di aver fatto un grosso passo in avanti nella comprensione di questa strana, magnifica, dolorosa, gioiosa, intensa, noiosa, incredibile cosa che è la vita”. Qui nessuno è in cerca di risposte definitive, e d’altronde nessuno potrebbe davvero riuscire a svelare ogni segreto della propria esistenza: lo scopo di questo libro, infatti, non è quello di diventare una sorta di “manuale di istruzioni”, bensì di far riflettere il lettore e di attirare la sua attenzione sul fatto che il suo punto di vista, probabilmente, potrebbe essere facilmente smentito da uno diverso, e smentirne a sua volta un altro ancora. Questo non significa però che questo libro non vi servirà a nulla, anzi: sarà proprio grazie alle varie alternative e opinioni che esso racchiude che chi legge riuscirà forse a capire qualcosa in più sulla vita. O magari, come dice infine il nostro surfista, si ritroverà solo a pensare che “la troppa razionalità non giovi al buonumore”.


All’inizio vi avevo però detto che, finito il libro, non ero riuscita a capire bene se l’avessi apprezzato o no. Questo è dipeso più che altro dal clima abbastanza surreale che io ho ritrovato in questa situazione realistica (o quantomeno verosimile), cosa che, non avendo letto molti libri del genere, all'inizio mi ha un po’ disorientato; dopo questo “ostacolo” iniziale, però, come avrete già capito il libro mi ha catturato, almeno finché sono arrivata alla fine. Con questo non voglio assolutamente dire che essa mi abbia in qualche modo deluso, anzi: è solamente arrivata troppo presto. Ho infatti trovato che i molti e complessi temi del libro venissero trattati fin troppo brevemente, e se questo da una parte rende il romanzo semplice e interessante per tutti, dall’altra rischia di risultare poco approfondito. Come ho già detto, L’invito per me si è rivelato estremamente stimolante, e se ad ogni capitolo fosse stata dedicata qualche pagina in più forse sarei riuscita a comprendere e ricordare meglio gli importanti messaggi che l’autore voleva trasmettere, anche considerando che i punti di vista da ascoltare si aggiravano intorno ai cinquanta e che potevano quindi essere ampiamente sviluppati. In ogni caso, questa è solo la critica personale di una lettrice abituata a divorare mattoni non inferiori alle trecento pagine, e che ama vedere approfondito anche il più piccolo dettaglio di ogni storia (un esempio della mia “scuola di pensiero” lo trovate nella recensione/stroncatura di Blood & Honey).


Detto questo, L’invito rimane comunque un validissimo romanzo, che mi sento di consigliare soprattutto agli amanti di storie brevi e apparentemente semplici che nascondono però un enorme significato. E vi auguro, leggendo questo libro, che vi ritornino alla mente le immense tavolate e le strambe discussioni che da troppo tempo ci siamo ormai dimenticati…

Concludo augurando una buona Pasqua a tutti, lettori e lettrici, anche se da lontano, con la speranza di poter tornare a vivere avventure non solo attraverso le pagine di un libro...


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