La città di ottone


 Ci sono libri che riescono a catturarti fin dalla prima pagina, che hanno la capacità di farti immergere all’istante nella loro atmosfera per quanto lontana essa sia, che ti fanno ridere e piangere e urlare e sobbalzare. Beh, La città di ottone è uno di questi. Vi avverto, le mie parole non rendono minimamente giustizia alla bellezza di questo fantasy che mi ha catturato sin dalla prima pagina, ma spero comunque di suscitare in voi abbastanza curiosità da farvi immergere nel fantastico mondo dei jinn -i famosi “geni” de Le mille e una notte- creato dalla scrittrice Shannon A. Chakraborty.


Nahri, piccola truffatrice de Il Cairo, è molte cose: una levatrice, una kodia (colei che conduce una cerimonia di esorcismo), una maga, una pseudo-guaritrice. Al potere di filtri e incantesimi, però, preferisce quello del denaro sonante che chiede ai suoi nobili clienti -alle sue vittime- e che ruba dalle loro case. Eppure, Nahri è molto più di una ladruncola di strada: nessuno sa che dietro le numerose maschere che indossa ogni giorno si nascondono origini familiari e geografiche incerte, la capacità di capire e parlare qualsiasi lingua e la guarigione istantanea da ogni ferita. Il suo sogno è quello di studiare la medicina -la vera medicina- facendo leva sul suo enorme talento naturale, da lei mai compreso fino in fondo; nel frattempo, per sbarcare il lunario, una delle tante attività a cui si dedica è la cerimonia della zar, un tradizionale rituale per aiutare chi è stato posseduto da un jinn, uno spirito della religione islamica. Rituale a cui Nahri non crede nemmeno un po’, almeno finché non evoca accidentalmente uno scorbutico e affascinante jinn guerriero che sembra sapere qualcosa sulla sua famiglia. Peccato che Dara, questo è il suo nome, non sia l’unico, e che la sua famiglia avesse molti, molti nemici. L’unica speranza per Nahri è Daevabad, una famosa città di jinn dove le loro varie tribù vivono a fianco degli shafit, nati dalle loro unioni con gli umani. La leggendaria città di ottone, un tempo governata dal popolo dei Daeva, gli “eletti” tra i jinn (almeno secondo ciò che pensano loro), è adesso in mano alla famiglia dei Qatani, di cui fa parte il principe cadetto Alizayd; diviso tra la lealtà alla sua tribù, i Geziri, l’aiuto che porge in segreto agli shafit quotidianamente vessati e il suo astio per i Daeva, si ritroverà immischiato in giochi di potere molto più grandi di lui. Giochi in cui avranno un ruolo centrale proprio Nahri e il suo pericoloso accompagnatore.


Come vi ho già detto, per me è si è rivelato veramente difficile descrivere pienamente ma evitando spoiler il mondo complesso e ammaliante di Daevabad, questo tessuto fitto di intrighi e segreti in cui i vari personaggi si districano come possono. Risulta difficile anche il solo parlare di questi ultimi, poiché ognuno di loro è visto con una sorta di “dualità”: una tribù lo considera un eroe, un’altra un mostro, e i punti di vista multipli -quelli di Nahri e di Alizayd, non a caso due figure diametralmente opposte- favoriscono questa percezione “a tutto tondo”. La bravura della Chakraborty, infatti, risiede secondo me in questo: mostrando le luci e soprattutto le ombre di un determinato personaggio e della sua famiglia, permette al lettore di avere un suo quadro completo che ha molto più dell’umano che dello “spiritico” e di empatizzare profondamente con lui e con le difficoltà che si trova ad affrontare.


Prendiamo per esempio Nahri, la nostra truffatrice del Cairo: cresciuta nella povertà del mondo umano, ha dovuto imparare a contare solo su di sé e su delle capacità che non ha mai compreso a pieno, nascondendo le fragilità, i dubbi, le paure e l’astio verso una famiglia ignota; è astuta, pragmatica e calcolatrice, cosa che la rende particolarmente adatta agli intrighi di Daevabad, soprattutto quando lei potrebbe diventarne il fulcro. Nella città di ottone vivono infatti jinn appartenenti a tutte e sei le tribù: ci sono i Sahrayn dalle regioni del Maghreb, gli Ayaanle dall’Africa Orientale, gli Agnivanshi dalla Penisola indiana, i Tukharistani dai confini con la Cina; e, ovviamente, ci sono i Geziri, popolo austero di guerrieri da cui proviene la famiglia Qatani, la quale adesso ha in mano la bellissima capitale del Daevastana. I Daeva, appartenenti alla sesta tribù che un tempo era stata padrona della città, non fanno mistero del risentimento verso l’attuale regno del potente Ghassan e dell’odio che provano verso gli shafit, colpevoli di intaccare la purezza della focosa -letteralmente- razza di cui loro sono la punta di diamante; questi, dal canto loro, sono prigionieri di una realtà che li espone quotidianamente alla violenza, alla schiavitù e alla morte: l’unica resistenza è rappresentata dall'organizzazione clandestina del Tanzeem, ansiosa di dare libertà e dignità agli shafit. 

E proprio in mezzo alle lotte e ai risentimenti tra Deva, Geziri e shafit, prima ancora di Nahri, si inserisce la figura di Alizayd, il figlio minore di Ghassan, che posso dire con certezza essere il mio personaggio preferito. Il giovane principe, addestrato fin da piccolo nella Cittadella per diventare qaid, capo della Guardia Reale, nonostante nell’aspetto sia più simile alla tribù materna degli Ayaanle è un perfetto Geziri: dedito alla guerra, appassionato di commercio, molto religioso, estraneo al lusso e soprattutto fedele al suo popolo e alla sua famiglia. O almeno lo era prima di cominciare a finanziare il Tanzeem. Alizayd, infatti, è caratterizzato da un’innata compassione e generosità, oltre che da una trasparenza e un’ingenuità -non stupidità, attenzione- che lo rendono la persona meno adatta a prendere parte a un complotto. Eppure, si ritrova da un giorno all’altro a rischiare di compromettere il bellissimo rapporto con il fratellastro Muntadhir (uno dei tanti elementi del romanzo che ho più apprezzato), la fiducia del padre Ghassan, noto sicuramente non per la sua indulgenza, e i rapporti con i Daeva, che lui già considera degli infedeli e violenti fanatici. La situazione peggiora quando in città, dopo infinite peripezie, giungono una shafit che è l’ultima discendente dei Nahid, una delle più amate -addirittura idolatrate- e temute famiglie Daeva, e un potentissimo schiavo guerriero, famoso per la sua efferatezza, che dovrebbe essere morto da tempo. In parole povere, Nahri e Dara. Che tra parentesi si odiano. O forse no. Ve l’avevo detto che la cosa si sarebbe dimostrata complicata, non è vero? 

Parlando di dualità, Dara è certamente la figura più emblematica. Un tempo era un Afshin, un guerriero che proteggeva gli antenati di Nahri, adesso è solo un ex-schiavo che non ricorda nulla né dei secoli al servizio dei padroni umani, né di come sia stato liberato. Di una sola cosa è certo: quella shafit incredula e ingannatrice che ha di fronte ha in sé del sangue Nahid, e per quanto la sua esistenza, prova dell’ipocrisia della sua gente, lo disgusti deve portarla nella sua antica città profanata dai Qatani. Ma la convivenza forzata di due caratteri forti e focosi come quelli di Nahri e Dara può sfociare o in un omicidio, o in una fantastica seppur complicata storia d’amore; dopo avere sfiorato il primo più volte, la Chakraborty ha preferito ripiegare sulla seconda, e non potrebbe trovarmi più d’accordo. E in una Daevabad già semi lacerata da numerosi conflitti interni, la loro presenza e la loro relazione possono dare alla città il colpo di grazia: Dara, infatti, da un popolo è considerato un pazzo assassino, da un altro un leggendario eroe, e questo vale anche per la nostra sbigottita e confusa Nahri, la quale però è al centro di macchinazioni ben più sottili e sfuggenti. E così la ragazza, quasi senza accorgersene, si ritrova divisa tra un Dara indubbiamente violento e pieno di sé, ma anche coraggioso e pronto a proteggerla, e un Ali timido e scontroso che potrebbe rivelarsi un inaspettato alleato, o un aspettatissimo nemico. 


Insomma, avrete capito che la situazione non è delle più rosee: l’autrice ha infatti profuso tutta sé stessa nel creare una trama così intricata e misteriosa che a tratti potrebbe far pensare anche a un giallo o addirittura a un thriller politico. La prima immagine che mi viene in mente quando penso a questo romanzo è uno di quei meravigliosi mosaici geometrici che si trovano nelle moschee o nei palazzi dei sultani orientali: infatti ogni più piccolo elemento de La città di ottone, che si tratti di un dettaglio dello straordinario worldbuilding, dell’atteggiamento di un personaggio, di una minuziosa descrizione o di un dialogo pungente trova il suo posto, formando un disegno immenso, complicato eppure di una bellezza mozzafiato. Lo stile della Chakraborty rispecchia assolutamente questa visione: fruibile ma arguto, semplice ma raffinato; avere una penna del genere che ti accompagna per le strade di una città vivace e piena di contrasti, o ancora meglio per quelle del cuore di ogni personaggio, è un vero piacere. Per non parlare delle ultime venti pagine, che mi hanno letteralmente straziato l’anima!!! -i tre punti esclamativi servono per rimarcare l’adrenalina che mi pervadeva nel momento in cui, su una spiaggia assolata, stavo trattenendo il respiro mentre mi sentivo morire dentro.

Il mio consiglio quindi è questo: prendete in mano il bellissimo volume edito Oscar Vault Mondadori, apritelo con cura e lasciatevi travolgere da intrighi di corte, ambientazioni esotiche e misteriosi jinn che vi ruberanno il cuore.


E dopo aver pontificato per due pagine e mezzo, voglio solo darvi una lietissima novella: oggi, proprio oggi, è uscito in Italia il secondo volume della trilogia, Il regno di rame. Ora, vi rubo solo un momento per lasciarvi immaginare la mia faccia sconvolta dopo aver scoperto che “all’epoca” The kingdom of copper era disponibile solo in inglese. Ecco, sentite il mio cuoricino sbriciolarsi in mille pezzi? Capite la fortuna di poter andare subito avanti con la storia di Nahri e Alizayd dopo che l’epilogo sconvolgerà le vostre menti già fragili? A questo punto dovreste trovarvi già in libreria a fare la fila alla cassa… 

Beh? Yalla, muovetevi! Volete far aspettare una delle migliori serie fantasy di sempre?

Credo proprio di no...

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