Buon Natale: un libro, un film, una canzone

 

“And so this is Christmas, and what have you done? Another year over, and the new one’s just begun...” Happy Xmas è in assoluto la mia canzone natalizia preferita, forse perché anche io inizio il mio periodo di festività con questa domanda: “cosa ho fatto finora? Un altro anno è passato, e quello nuovo sta iniziando…” (un modo carino per dire “vedi quei 365 giorni della tua vita che vanno allegramente a farsi benedire e che non torneranno mai più? Ecco, dimmi almeno che ne hai fatto buon uso, idiota!”). Oltre alle mille paranoie e ai mille dubbi esistenziali, allontanati almeno momentaneamente da una fetta di parrozzo (di gran lunga superiore a panettone e pandoro, mi dispiace dirlo), mi viene sempre da chiedermi cosa ho fatto di buono, non tanto nel significato di produttivo, quanto in quello di altruista. 


Purtroppo, nella società consumistica in cui viviamo (giuro che non parto con il sermone sui bei tempi andati, di cui peraltro non facevo parte) siamo portati a considerare come risultati positivi solo quelli che possiamo inserire in liste e spuntare una volta completati, che ci danno un riscontro pratico pressoché immediato. Faccio un esempio banale: alle riunioni di famiglia, così frequenti in questo periodo (o almeno in una situazione normale), le domande più gettonate sono “come va la scuola?”, “e il fidanzatino?”, “la laurea si avvicina, eh?”, “trovato un lavoro?”, “a quando il matrimonio?”, “figli ancora nulla?”. E così, dal saluto veloce che dovevi fare alla vecchia zia, nel giro di qualche ora ti ritrovi a riesaminare la tua intera esistenza, a maledire la tua agenda super organizzata pagata 30€ e a piangere miseramente in un angolino.

Spesso, però, ci sono cose buone che non sono state create come traguardi da raggiungere, o premi da allineare su una mensola: banalmente, le forme fantasiose delle nuvole in cielo, il profumo di una siepe in fiore, un gelato del proprio gusto preferito, la canzone del cuore passata alla radio… Insomma, gli infiniti piccoli elementi che aiutano a rallegrare le proprie giornate, anche quelle più funeste. E lo stesso, ovviamente, vale per i gesti -sempre più rari- di gentilezza e altruismo nei confronti di chi ci circonda, dai più eclatanti ai più semplici: dare una mano a un amico in difficoltà o raccogliere quei fogli che sono cascati a chi ci siede accanto, ascoltare lo sfogo di un’amica o rinunciare all’ultimo pezzo di torta per darlo a qualcun altro sono azioni che non finiranno in nessun curriculum, ma che possono aiutare chi ci sta intorno e migliorare la sua giornata, anche con un semplice sorriso.


Vi ho detto la mia canzone preferita di Natale, vi dirò anche il film. Tranne che per qualche eccezione (Love Actually e L’amore non va in vacanza, che rivedo anche a maggio e che conosco praticamente a memoria), detesto le zuccherose commedie natalizie, piene di cliché e di morali insulse che nemmeno una svendita al discount della sceneggiatura hollywoodiana. Eppure, in questo desolante panorama si erge in tutto il suo enorme spessore cinematografico quello che è un vero e proprio classico: La vita è meravigliosa. 

Questo film del 1946 con protagonista James Stewart (premio Oscar e attore prediletto, tra gli altri, di Hitchcock) racconta della vita di George Bailey, il quale sogna di fuggire dalla sua cittadina di provincia e di esplorare il mondo. La vita, però, ha altri piani per lui: dopo la morte del padre, finisce per essere messo a capo della sua piccola società di costruzioni e mutui, per formare una famiglia con l’amatissima Mary e per entrare definitivamente in guerra con l’avaro signor Potter, un moderno Scrooge ansioso di mettere le mani su tutta la città. Quando, proprio a causa di quest’ultimo, rischia di essere arrestato la notte di Natale per bancarotta, George disperato cerca di togliersi la vita; viene allora salvato da Clarence, un vecchietto che altri non è che il suo buffo angelo custode il quale, su richiesta del suo protetto, gli mostra come sarebbe la sua vita se non fosse mai nato. George si ritrova dunque in una spirale di squallore, tristezza e insensibilità che avvolge la città e i suoi affetti, facili prede di Potter e della solitudine senza che lui, con la sua onestà, il suo altruismo e il suo senso del dovere fosse lì a proteggerli. Quando tutto sembra perduto, George implora Clarence di tornare alla sua vecchia vita, preferibile all’oblio pur con tutte le sue imperfezioni.


Ma proprio mentre lo stanno per arrestare, l’uomo vede arrivare trafelata Mary, sua moglie, con una cesta stracolma di denaro: la donna ha mobilitato l’intera cittadina per salvarlo dalla bancarotta, e ogni singola persona aiutata da George in vita -che nella realtà simulata da Clarence era preda della propria sterile solitudine- ha donato i suoi risparmi.

Ed è sulle note di Auld Lang Syne (una canzone che, grazie a questo film, mi infonde sempre una grande gioia), che tutti gli ospiti si ritrovano a cantare gioiosamente nella casa strapiena, che capiamo che non è necessario rispettare i piani che ci siamo fatti per la nostra vita, perché in ogni caso questa farà come le pare senza darci la possibilità di rispondere “grazie, anche no”. L’unica cosa che possiamo fare è essere altruisti con chi ci sta accanto, perché, anche se potrebbe non sembrare, seminare buone azioni porta a un raccolto immenso, e, strano ma vero, è meglio avere una casetta piena di amici che una villa enorme in cui stare completamente soli. E no, questa non è solo una banalità zuccherosa da sciorinare durante le feste, ma qualcosa di cui dovremmo ricordarci anche il resto dell’anno.


Ma essere buoni 365 giorni, e i 365 successivi, e i 365 ancora dopo (anche 366 se ci scappa), mi rendo conto, è un'utopia. È anche per questo che tutti noi puntiamo al Natale e a Capodanno come i momenti in cui sprigionare al massimo la nostra bontà: dopotutto, essere più gentili per un mesetto non è così terribile… Le festività diventano quindi un'occasione sia per riflettere su ciò che abbiamo fatto durante l’anno, ma anche per agire concretamente e compiere quelle buone azioni dickensiane di cui tutti lamentiamo la carenza. A meno di non trovarsi in un centro commerciale il 23 dicembre, ovviamente: in guerra, in amore e nella caccia al regalo dell’ultimo minuto tutto è concesso (un consiglio spassionato? Cominciate a fare i regali a settembre)...

Riflessione e altruismo, certo, ma anche atmosfera: cosa sarebbe il Natale senza lo stupore davanti alle luminarie, le canzoni che invadono le nostre vite o il senso di serenità che si prova nel tornare a casa la sera e trovare un albero decorato? Per non parlare della sensazione bellissima, paragonabile a poche altre, che ti dà l’aver azzeccato il regalo perfetto per le persone che ti stanno a cuore. Certo, i cenoni, i regali e le decorazioni non sono il punto nevralgico del Natale -e spesso lo rendono molto più commerciale di quanto sarebbe opportuno- ma è innegabile che aiutino a far sentire davvero presente lo spirito della festa.


E se vi dicessi che, per puro caso, ho trovato una raccolta di racconti che, per questo mese, mi ha accompagnato alla (ri)scoperta del Natale a tutto tondo? Buon Natale e altri racconti, edito BurRizzoli (che si è superata con la magnifica copertina) è una raccolta dell’inestimabile Louisa May Alcott, madre, tra le altre, delle sorelle March, che ringrazierò sempre per avermi donato la loro compagnia. E qui non troviamo solo Meg, Jo, Beth e Amy alle prese con il loro spettacolo natalizio e le loro rinunce quotidiane (quella della colazione della festa in favore di una famiglia poverissima e del gentile dono “riparatore” del Signor Laurence mi scalda sempre il cuore…), ma anche diverse piccole (e non) protagoniste che diventano l’emblema della bontà, dell’intimità e della magia che il Natale porta con sé: c’è Kate, che, divenuta orfana, riesce a rallegrare la vita della nonna appena conosciuta, facendo riavvicinare l’anziana e sola signora ai suoi parenti; c’è Patty, che desidera invano un po’ di amore dalla famiglia che l’ha adottata, ma che continua lo stesso a dedicarvisi in modo del tutto disinteressato; ci sono Tilly, che non ha nulla ma aiuta lo stesso un povero passerotto morente, e le sorelle Dolly e Grace, la cui umile generosità farà nascere nell’animo dei vicini un sentimento nuovo e prezioso; e poi la giumenta Rosa, che nella sua vita è passata dalle stelle alle stalle (letteralmente), e Mrs Podgers, che in un solo giorno riesce a cambiare non solo la sua vita, ma anche quella dell'amico Mr 'Rusalem e del trovatello Joe. 

Con le piccole, semplici storie di queste protagoniste, Louisa May Alcott riesce a ricordarci che la bontà esiste, e che i piccoli gesti riescono davvero a fare la differenza, a Natale come in qualsiasi altro momento dell’anno senza neve o camini accesi. Questo libro è una carezza, un augurio sussurrato all’orecchio, un paio di occhiali dalle lenti rosa -anzi,rosse- attraverso cui vedere il mondo, fosse anche per un solo mese.


Ora che vi ho parlato di quei piccoli elementi che rendono speciale il mio Natale, non mi resta altro che augurarvi “A very merry Christmas, and a happy new year: let's hope it's a good one without any fear”. Spero che possiate passare questo periodo con le persone amate, che riusciate a riabbracciare finalmente quelle che per due anni avete visto solo su Zoom, e che queste feste vi portino la serenità di cui siamo stati a lungo privati. Perché ricordate, “war is over if you want it”, e anche questo periodo lo sarà presto. Buon Natale!

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